NOTA DEL SEGRETARIO GENERALE: “DOVE NON C’È (L’) ORDINE, C’È IL DISORDINE!”


Carissimi soci,
forse già saprete che alcuni giorni addietro il CNOP-Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi ha pubblicato e diffuso le cosiddette “Linee guida nazionali per l'attività di tutela della professione presso i Consigli territoriali”. Per tutta chiarezza e per la rassicurazione di tutti i colleghi, pubblichiamo nel merito una nota del Segretario Generale Marco Deriu.

La presidente
Patrizia Belloi

 

“Dove non c’è (l’) Ordine, c’è il disordine!”

Suona antico, del color cupo d’un tempo trascorso in divisa, ma in realtà è purtroppo attualissimo. E’ il motto, il peana costante e continuamente ripetuto, perfino assordante, del CNOP, il consiglio nazionale ordine degli psicologi. Noi counselor, come del resto tutte le altre professioni d’aiuto non regolamentate con albo professionale, lo conosciamo da anni. E sappiamo bene come la sudatissima legge 56/89, con cui il mondo della psicologia nostrana ha ottenuto l’istituzione del proprio albo professionale, per alcuni possa ancora rappresentare un importante strumento di lotta. Sopratutto per coloro che ancora oggi si ostinano – e chissà perché? – ad usare gli albi professionali come retaggio di una società organizzata in corporazioni e privilegi. Ma tant’è. La legge c’è, gli ordini degli psicologi e il CNOP pure. Ce ne siamo fatti una ragione da molto tempo e, per rispetto delle leggi e perché riteniamo che in fondo nulla ce ne dovrebbe incogliere, abbiamo provato a non curarcene, secondo l’esempio del sommo poeta.

Ma siamo stati troppo ottimisti, forse idealisti, un pochino ingenui. Gli è infatti che da due buoni lustri il CNOP, con la schiera disciplinata di alcuni ordini regionali, non ha trovato di meglio da fare che accanirsi nel tentativo di impedire, con ogni mezzo e senza lesinare risorse, che un’altra professione d’aiuto qual è il counseling (ma non solo!) possa essere esercitata liberamente da professionisti debitamente qualificati, come invece - e per fortuna - accade per qualunque altra professione nel nostro paese. IL CNOP sostiene di avere sacrosante e doverose ragioni. In primis la salvaguardia e la garanzia della salute pubblica. Ma basta poco per comprendere e verificare che si tratta di ragioni pretese e assai infondate, come sa chi conosce il counseling, i counselor, la legge 4/2013, nonché le varie sentenze sul tema dell’abuso della professione, tutte a favore dei counselor, già promosse e sempre perse dagli stessi psicologi presso i tribunali italiani o in sede di Consiglio di Stato. 

Purtroppo, come si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio. E così, dopo aver inutilmente promosso nel corso degli anni azioni legali contro questo o quel professionista counselor; dopo aver boicottato all’UNI, dichiaratamente e pervicacemente,  il tavolo tecnico per la normazione della figura professionale del counselor (previsto dalla legge 4/2013), tanto da determinarne verosimilmente la prossima chiusura; dopo che si è dovuto assistere alla radiazione dall’ordine di tre psicologhe, ree – pare incredibile ma è vero – di aver sostenuto in sede UNI posizioni a favore della normabilità della figura professionale del counselor; il CNOP ora arriva a dar voce all’inaudito. 

E’ infatti di pochi giorni fa la divulgazione delle c.d. “Linee guida nazionali per l’attività di tutela della professione presso i Consigli territoriali” (https://www.psy.it/il-cnop-ti-informa-26-10-2021.html), con cui il CNOP invita urbi et orbi alla delazione indiscriminata finalizzata alla denuncia penale per esercizio abusivo della professione. In particolare, il documento invita “la cittadinanza” alla delazione - loro usano il termine “segnalazione” -, con particolare attenzione per il “comparto pubblico” (sanitario e scolastico), e delle organizzazioni (“no profit e commerciali”), di modo che il CNOP possa agire con denuncia presso le sedi competenti. Suggerisce caldamente agli stessi psicologi la medesima pratica delatoria (o segnalatoria, che dir si voglia). Ammonisce e/o intimidisce i counselor – per quanto indirettamente - a  ritirarsi in buon ordine se non addirittura a desistere dall’esercizio della propria professione, pena la denuncia alla Procura della Repubblica o, quando non ne siano dati gli estremi, nientemeno che l’ammonimento  e/o la diffida da parte dello stesso CNOP. 

Insomma, una vera e propria caccia alle streghe, una lotta senza campo all’eretico presunto stregone, con tanto di “Commissione Tutela”, istituita “presso il consiglio territoriale dell’ordine”, perseguita in modo surrettizio per un verso e intimidatorio per l’altro, utilizzando in modo strumentale i principi, di per sé legittimi, in tema di tutela della professione da parte dei Consigli, ma piegandoli oltre i confini della loro legittimità.

E’ bene rasserenare i soci del CNCP, tutti i counselor e perfino gli psicologi, rassicurandoli sul fatto che la nostra è una professione intellettuale liberamente esercitabile e non è oggetto di riserva in favore delle c.d. professioni protette, e segnatamente degli psicologi. Come è noto – ma è utile ricordarlo - il Consiglio di Stato, nei ricorsi che hanno visto vittoriosi i counselor e soccombenti gli psicologi, ha ritenuto legittimo l’inserimento delle associazioni di counselor negli elenchi del Mise (ex legge 4/2013), e ha ribadito che della legge 4/2013 va data una lettura costituzionalmente orientata, talché lo svolgimento di una attività professionale lecita è libero e il sistema degli ordinamenti professionali (di cui all'art. 33 Cost., comma 5) deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarietà.

Vale quindi la pena di ribadire - anche a vantaggio del CNOP - che il counselling è definito con chiarezza nello Statuto del CNCP e si inquadra tra le professioni della promozione del benessere, senza con ciò presentare alcun profilo di sovrapposizione con quelli che a rigore e con puntuale definizione la normativa vigente inquadra come atti tipici riservati ad altre professioni: 

Il counselling è un processo relazionale tra counsellor e cliente, o clienti (individui, famiglie, gruppi o istituzioni). Il counsellor è la figura professionale che aiuta a cercare soluzioni a specifici problemi di natura non psicopatologica e, in tale ambito, a prendere decisioni, a gestire crisi, a migliorare relazioni, sviluppare risorse, a promuovere ed a sviluppare la consapevolezza personale su specifici temi. L'obiettivo del counselling è fornire ai clienti opportunità e sostegno per sviluppare le loro risorse, promuovere il loro benessere come individui e come membri della società affrontando specifiche diffi-coltà e momenti di crisi. Il cliente è la persona, la coppia, la famiglia o l'organizzazione che richiede di essere aiutata mediante un'opera di supporto, in un percorso formativo o un processo di sviluppo personale inerente una specifica problematica. 
La relazione di counselling ha il suo fondamento nel rispetto reciproco definito da precisi confini professionali. Il counsellor, consapevole delle differenze personali e culturali, riconosce la libertà del cliente di esprimere se stesso, i suoi bisogni e le sue credenze, riconosce il suo diritto di autodeterminarsi e di stabilire gli obiettivi per proprio sviluppo e benessere.

Infatti, la legge n. 56/89, relativa alla professione di psicologo, indica espressamente che gli unici atti tipici degli psicologi sono l’utilizzo di strumenti e modelli psicologici, l’espressione di una diagnosi e la somministrazione di test psicologici. Stabilendo quindi che questi, e questi soltanto, sono gli atti qualificanti della professione di psicologo.

Pertanto, ne segue che non sono atti tipici né sono atti riservati allo psicologo - giusto per fare qualche esempio – l’accoglienza, l’ascolto, la riformulazione, l’analisi del bisogno ecc., trattandosi invece di atti generici, e peraltro comuni a più professioni.

Ciò detto, resta che le affermazioni del CNOP contenute nelle c.d. “Linee Guida” si connotano di particolare aggressività e illiceità. Mentre per un verso si guardano bene dal connotare nella loro effettiva materialità quelli che sarebbero gli atti tipici riservati e che dunque dovrebbero esser configurati come esercizio abusivo della professione, dall’altro invitano ovvero minacciano a segnalare anche comportamenti perfettamente leciti, anche se questi – come ha l’impudenza di scrivere lo stesso CNOP - “non consentono l’individuazione di una condotta di abuso, ma suggeriscono ugualmente un intervento di tutela nei confronti del soggetto segnalato che consenta di rimuovere situazioni di ambiguità comunque potenzialmente lesive degli interessi della categoria professionale e di una corretta informazione agli utenti”.

Stupisce che il CNOP non si renda conto della natura illecita ed intimidatoria di simili affermazioni, che potrebbe anche configurare, qualora effettivamente posta in essere, una condotta di violenza privata ovvero minaccia.

Altrettando dicasi allorquando il CNOP si arroga il potere di ammonire e/o chiedere chiarimenti al soggetto segnalato, “onde ricevere dallo stesso maggiori informazioni che consentano di escludere la sussistenza di condotte di abuso della professione”, o addirittura di inviare “diffida ad interrompere determinate condotte o rimuovere determinati contenuti visibili a terzi”.

Vorremmo ricordare al CNOP che la denuncia all’autorità giudiziaria si fa non per “il sospetto di reato” ma per una notizia di un reato perseguibile d'ufficio. E vorremmo anche rimarcare che l’altro lato della “medaglia” di una denuncia infondata è il reato di calunnia, ovvero quello di diffamazione. Ora, poiché, anche noi riteniamo che sia certamente legittimo ed anzi doveroso per un organismo di rappresentanza professionale tutelare i propri iscritti e consentire che possano svolgere al meglio la professione, verrebbe da invitare tutti i soci counselor a segnalarci sempre e tempestivamente ogni atteggiamento ovvero comportamento di minaccia o intimidazione rispetto al libero esercizio della professione di counselor, in cui essi possano incorrere soprattutto a seguito dell’improvvida diffusione delle c.d. “Linee guida del CNOP”.

Resta da chiedersi il perché di tanto accanimento da parte del CNOP. Siamo certi che esso non rappresenti la sensibilità, il giudizio e la valutazione morale della gran parte degli psicologi italiani, abituati al dialogo e al confronto per cultura e weltanschauung e, di fatto, usi per pratica professionale alla quotidiana collaborazione multidisciplinare, spesso con gli stessi counselor professionisti. Parrebbe quasi incomprensibile. A meno che…! A meno che non si muti paradigma interpretativo. E dalla “caccia alle streghe” non ci si chieda se, con propositi assai più attuali e meno ideologici, come la Libia anche il CNOP non stia tentando di allargare i confini del proprio mare territoriale ben oltre i limiti legali, visto l’allarme che lo stesso Consiglio lancia pubblicamente dalle pagine del suo sito ufficiale:

“Gli psicologi attivi risultano essere circa 51.000, gli psicologi sono più di 100.000 e ogni anno se ne iscrivono 5.000 nuovi. Vista l’età giovane (la maggior parte degli attivi hanno un’età compresa fra i 35 e i 45 anni e un’età di pensionamento alta (si tratta di libero professionista per la maggior parte, che lavorano fino a 75 anni) non ci saranno uscite consistenti dal mercato del lavoro. Significa quindi che la disoccupazione è altissima (sic!). il fabbisogno di laureati magistrali è quindi nullo (sic!), anche se, sembra stia aumentando l’offerta formativa da parte degli Atenei” (https://www.psy.it/la-psicologia-in-cifre.html).

Ovviamente, non essendo né streghe né stregoni, non possiamo conoscere la risposta. Ma vien da pensare al povero CNOP: Gli mancavano soltanto i counselor (… e i coach, i pedagogisti, gli educatori professionali, gli operatori olistici del benessere … ecc ecc)! 

Quanto a noi, continuiamo a sperare che prima o poi anche il CNOP, come una gran parte degli psicologi italiani, possa riuscire a pensare a questa variegata realtà, non già come a un limite, ma come una grande ricchezza grazie alla quale continuare a crescere.
Marco Deriu
Segretario Generale


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