A PROPOSITO DI IAC E DI UNICO: alcune riflessioni e una prospettiva sul futuro


In Italia il counselling è una professione della relazione d’aiuto di natura non clinica, distinta da altri approcci internazionali che, in molti casi, possono risultare perfino antitetici. Serve rendere esplicite le differenze e puntare a rafforzare una rete nazionale che valorizzi l’identità del counselling italiano.

Negli ultimi mesi si parla molto dell’importanza di creare reti e collaborazioni internazionali. Il che è senz’altro un fatto di rilevante attualità per il movimento dei counsellor; e l’attività in seno a IAC (International Association for Counselling) ne è un esempio indicativo. La necessità di costruire sinergie transnazionali e il desiderio di una comunità professionale internazionale, coesa e unita, rappresentano obiettivi condivisibili oltreché auspicabili.

E tuttavia, non si può non rilevare come questa esigenza debba essere misurata attentamente anche alla luce delle differenze che oggi caratterizzano il “counselling” a livello globale. Esistono, infatti, realtà professionali che, pur operando sotto la stessa etichetta, seguono approcci epistemologici e pratiche operative molto diverse, talvolta addirittura antitetiche. In Italia, il counselling si è sviluppato come una professione non clinica, di matrice socio educativa, che risponde a bisogni specifici che nulla hanno a che vedere con le pratiche sanitarie o assistenziali. Questa differenza è fondamentale per preservare l’identità e la riconoscibilità della nostra professione, mentre sappiamo che in altri Paesi il counselling abbraccia spesso anche funzioni cliniche, portando con sé approcci e finalità diverse dalle nostre. Una commistione che, ancorché spinosa sotto il profilo epistemologico, se non esplicitata, non è detto che possa essere d’aiuto alla causa. Per queste ragioni, se per il CNCP è certamente importante seguire con attenzione il processo di IAC, lo è ancor di più concentrare le energie per il rafforzamento della nostra identità professionale e il suo posizionamento etico e politico all’interno del contesto italiano, il quale, anche per via della pressione ostativa dei soliti noti, costituisce – come ben sappiamo - un caso a sé. Se vogliamo costruire reti internazionali, occorre partire da questa solida base. Il che non significa naturalmente non avere interesse per il lavoro di IAC, tutt’altro. Né, tantomeno, impedisce di esser pronti a dare il necessario contributo laddove, direttamente o indirettamente, ciò possa sostenere l’affermazione e lo sviluppo del counselling in Italia.

Il punto, però, è che, da ormai troppo tempo, le energie spese all'interno del nostro contesto nazionale sembrano essere assai molte meno di quelle dedicate al suo esterno. La Legge 4/2013 ha rappresentato per l’Italia una innovazione straordinaria di cultura giuridica nel quadro nazionale del sistema delle professioni, permettendo di uscire dalla vecchia concezione paternalista che assegnava al solo Stato la facoltà di regolare le professioni e l’attività dei professionisti, a una assai più moderna, di stampo liberale, che affida invece agli stessi professionisti, attraverso il confronto col cosiddetto mercato, il compito di autoregolarsi, senza alcuna necessità di ordini e albi. Si tratta di una grandissima opportunità, che dobbiamo essere in grado di sfruttare al meglio, ma che nel contempo obbliga i singoli professionisti e le associazioni di categoria ad assumere la responsabilità di rendere effettivo ciò che una trasformazione culturale di questa portata può e deve rappresentare. Una recente ordinanza del Consiglio di Stato (995/2024) è arrivata ad affermare che, in forza della funzione di autoregolamentazione che la Legge 4 affida alle associazioni di rappresentanza, non dovrebbe più essere legittimo alcun tipo di discriminazione tra professioni ordinistiche e professioni associazionistiche. Per quanto questo pronunciamento non abbia un valore giuridico definitivo, è indubbio che esso segni il punto di una rivoluzione culturale che, se da una parte è evidentemente già in atto, dall’altra necessita di essere sostenuta con la forza della prassi, attraverso l’impegno dei professionisti e delle loro associazioni, affinché da affermazione di principio diventi un dato di fatto indiscutibilmente acclarato, dal quale nessuno (politica, mercato, istituzioni) possa più prescindere. Hic Rhodus, hic salta! 

Dobbiamo allora domandarci se non sia giunto il momento di occuparci anche di ciò che è più urgente per noi, riprendendo finalmente il lavoro per la costruzione di una rete nazionale stabile delle associazioni di categoria Italiane. Sappiamo fin troppo bene che una rete nazionale e unitaria potrebbe aiutare a completare il processo di uniformazione della nostra figura professionale, favorendo la riconoscibilità sociale e culturale del modello italiano e potenziando la nostra capacità di rappresentanza politica nelle istituzioni. La Legge 4 ci affida questo compito ed è nostra responsabilità, come professionisti, ma ancor più come associazioni di categoria, portarlo a termine.

UNICO (Unione Italiana di Counselling) era nato proprio con questo obiettivo. Riscoprirne e rilanciarne la missione sarà essenziale per costruire un futuro solido per tutti i counsellor. Abbiamo ancora diverse sfide sul tavolo, che non è ragionevole continuare a trascurare. Ora che da parte di tutte le maggiori associazioni l’adozione del requisito di laurea rappresenta un dato acquisito, restano ancora da affrontare temi come la condivisione di standard formativi omogenei e la definizione di qualifiche uniformi; la riapertura del tavolo di normazione tecnica presso l’UNI e la proposta di abrogazione di alcuni aspetti della legge Lorenzin, che surrettiziamente vengono usati per ostacolare il libero esercizio della professione; la costruzione di reti nazionali con le altre categorie della relazione d’aiuto, per la migliore valorizzazione della Legge 4 e il rafforzamento del nostro potere di lobby; la realizzazione di eventi culturali di portata nazionale, per diffondere e pubblicizzare la cultura del counselling; la creazione di protocolli d’intesa con istituzioni, aziende e terzo settore, per la diffusione della pratica professionale in tutti i contesti della vita sociale ed economica del nostro Paese. Tutte azioni che con una rete nazionale e unitaria potrebbero essere portate avanti in modo più efficace e più rapidamente di quanto non si riesca a fare oggi continuando a procedere in ordine sparso. Insieme, e grazie al contributo di tutte le associazioni, abbiamo avuto ragione in Consiglio di Stato (545/2019) di chi intendeva ostacolare lo sviluppo della professione, ottenendo l’iscrizione delle associazioni al Mise; fianco a fianco abbiamo lottato per la norma tecnica UNI, che abbiamo già scritto insieme e non attende altro che di essere portata, con determinazione, alla sua naturale e legittima conclusione; uniti abbiamo lavorato per avere quel Codice Ateco che, verosimilmente, vedrà la luce nel gennaio del prossimo anno. Non resta che continuare il cammino, senza perdere altro tempo. Noi ci siamo.

Marco Deriu 


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