
Congresso Nazionale CNCP 2025
Tracce di presente e rotte di futuro – Villaggio della Salute Più, Monterenzio
(BO), 4–5 ottobre 2025
Lorenzo Romoli
La mattina del 5 ottobre, il Congresso CNCP ha dedicato il suo
spazio più sperimentale a quattro Expert Meeting paralleli, pensati con
l’intento di aprire un confronto diretto fra counselor, formatori e ricercatori
sui nuclei fondativi della professione. Non lezioni frontali, ma laboratori di
riflessione collettiva, in cui ciascun gruppo ha affrontato un tema chiave
della pratica contemporanea: tecniche e setting, qualità della relazione,
supervisione e prassi emergenti.
Questa formula, agile e partecipativa, ha permesso di far emergere la voce viva
della comunità professionale, trasformando le esperienze dei counselor in
materia di ricerca condivisa. Il risultato è stato un affresco composito e
coerente di una professione che si riconosce nella pluralità dei modelli ma che
cerca, con lucidità, il filo di una identità comune.
1. Tecniche e setting: la sapienza del gesto, la presenza come metodo
Il primo gruppo ha lavorato sull’interazione tra tecniche e
setting, mettendo in luce come le tecniche del counseling non siano strumenti
rigidi, ma forme di relazione “incarnata”. Definite a più riprese come
“tecniche senza tempo”, l’ascolto, il silenzio, la sospensione del giudizio, il
rispetto dei tempi dell’altro sono emersi come il nucleo costante della pratica
del counsellor. A esse si affiancano tecniche relazionali e strumentali, come
le domande mirate, il rispecchiamento o il ricalco corporeo; tuttavia, sempre
subordinate alla qualità della presenza del counselor.
È stato sottolineato che la tecnica non è mai fine a sé stessa. Anche la
“domanda miracolosa”, quando si realizza, è sempre frutto di una relazione
autentica, mai di un espediente metodologico.
La discussione ha poi toccato un punto altrettanto necessario e decisivo, il
setting, anch’esso inteso come tecnica. “Il setting siamo noi” — ha
sintetizzato un partecipante — intendendo che l’autenticità e la postura
interiore del counselor costituiscono il primo spazio di accoglienza. Da qui,
il valore della flessibilità e dell’ibridazione dei contesti, purché
accompagnati da chiarezza di regole e obiettivi, specie nei setting non
canonici o digitali.
La dimensione digitale è stata riconosciuta come parte integrante della
pratica. L’esperienza online offre nuove opportunità di incontro, accesso e fruibilità,
ma comporta anche il rischio di trasformarsi in una zona di eccessivo comfort.
Si è discusso di come aiutare il cliente a mantenere la consapevolezza corporea
e la connessione con sé anche a distanza. Una sfida che apre la strada alla
definizione di linee guida comuni per la pratica digitale del counseling.
Il gruppo ha guardato, infatti, con attenzione al futuro e alle tecnologie
emergenti — intelligenza artificiale, realtà virtuale — ma senza fascinazioni
ingenue. Il compito del counselor resta quello di essere presenza viva dentro
la complessità, capace di usare gli strumenti senza esserne usato.
2. La qualità della relazione: dal gesto dell’io al respiro del noi
Nel secondo gruppo, dedicato alla qualità della relazione, la
riflessione si è spostata dal concetto di “relazione di aiuto” a quello di
“relazione di qualità”. Non un ideale astratto, ma una dinamica viva, fatta di
ascolto, accoglienza, reciprocità e autenticità. La relazione è stata descritta
come linfa vitale del counseling, non semplice contenitore della tecnica ma suo
stesso fondamento.
Si è parlato dello stare nella relazione come capacità di esserci con tutto se
stessi, di accettare la vulnerabilità, di accogliere la complessità dell’altro
senza farsi trascinare. È emersa l’idea di un noi relazionale che si estende
dall’incontro counselor-cliente al tessuto sociale. In questa luce la qualità
della relazione individuale è stata si manifesta quale premessa per una cultura
della relazione collettiva.
Un passaggio particolarmente sentito ha riguardato la figura del counselor come
strumento di lavoro. La cura di sé, l’equilibrio emotivo, la capacità di
sospendere il giudizio e di restare centrato sono condizioni essenziali per una
relazione autentica. Il gruppo ha richiamato anche la storia della relazione di
cura, da Ippocrate ai modelli umanistici moderni, sottolineando la necessità di
un rinnovamento dello sguardo capace di rispondere alle esigenze contemporanee.
3. Supervisione: uno spazio di cura per chi si prende cura
Il terzo Expert Meeting ha posto al centro la supervisione come
spazio etico e professionale. La discussione ha messo in luce una tensione
irrisolta ma feconda: qual è il vero focus della supervisione, il cliente, il
counselor o la relazione? Le risposte sono state diverse, segno di una
pluralità di approcci che arricchisce ma, al tempo stesso, chiede un continuo e
costante approfondimento.
Si è insistito sulla necessità di confini etici ben definiti, a tutela di
entrambe le parti in gioco nel rapporto tra supervisore e counsellor. È emersa,
a esempio, la questione della reperibilità del supervisore e del rispetto dei
tempi e degli spazi personali come forma di responsabilità reciproca.
Le aspettative verso il supervisore — fiducia, ascolto, trasparenza,
disponibilità — si accompagnano al riconoscimento che anche il supervisore ha
bisogno di tutela. Allo stesso tempo, la supervisione si conferma strumento di
prevenzione del burnout, luogo in cui il counselor può alleggerire il proprio
carico e ritrovare lucidità e senso. Il gruppo ha concluso che la supervisione
non può essere vincolata a un solo modello teorico ma è una pratica di cura del
professionista, che accompagna il “mestiere” e lo protegge.
4. Prassi emergenti: il counseling in espansione
L’ultimo gruppo ha esplorato il panorama delle prassi emergenti,
segno di una professione che si apre a nuovi ambiti senza perdere autenticità.
Fra i casi portati all’attenzione del gruppo, alcune esperienze di lavoro
realizzate in collaborazione con medici e specialisti — reumatologi, gnatologi,
odontoiatri — come avvenuto nel progetto con l’Università Federico II di Napoli
per il trattamento delle cefalee muscolo-tensive.
È stato poi ricordato il modello di intervento che è stato realizzato con il
coinvolgimento diretto del CNCP e della sua sede regionale presso l’Università
di Trento, dove i counselor affiancano gli studenti nei tirocini, aiutandoli a
elaborare l’esperienza formativa in chiave riflessiva.
Altro ambito in crescita è l’intervento nell’accompagnamento di
persone colpite da un lutto, con gruppi di auto-mutuo-aiuto diffusi in diverse
regioni che mostrano la capacità del counseling di favorire la resilienza
sociale e generare comunità.
Tutte queste esperienze convergono su un punto. La credibilità del counseling
cresce nella misura in cui esso sa collaborare con altre figure professionali,
siano esse parte del mondo sanitario, educativo, aziendale e sociale, e allo
stesso tempo è in grado di conservare la propria autonomia epistemica e
valoriale.
Temi per il futuro prossimo
Dai lavori sono emerse questioni aperte e prospettive che
costituiscono la base per i prossimi passi della riflessione teorica intrapresa
in seno al CNCP: come garantire la qualità relazionale nella pratica digitale,
come definire un orientamento condiviso sul focus della supervisione, e fino a
che punto è lecito e professionalmente corretto discostarsi dal setting
tradizionale senza snaturare la cornice etica dell’intervento.
Sintesi
Gli Expert Meeting del 5 ottobre hanno restituito più che
semplici report, hanno contribuito ad approfondire e a raccontare il counseling
nella sua forma più autentica, che è dialogica, riflessiva, in cammino. E,
grazie anche al loro contributo, il Congresso dello scorso ottobre ha segnato
così un passaggio simbolico: il counseling italiano non è più soltanto una
pratica diffusa, ma una comunità di pensiero capace di interrogare se stessa,
di innovare e di generare cultura.